Pesce spada alla eoliana

L’acqua salata

La cura per ogni cosa è l’acqua salata: sudore, lacrime. O il mare.

                                                                                     Karen Blixen.

All’inizio degli anni ‘80 nel paesino di Ginestra sull’isola di Stromboli si manifesta, quasi per un uno strano richiamo, una migrazione di giovani provenienti da diverse città italiane e talvolta europee. Si trasferiscono li in parecchi nelle case di pietra sul crinale montano, alla ricerca della solitudine e di se stessi. Difronte hanno un mare salato e profondo, dietro la lava nera che scende lenta dalla cima del vulcano, fino al mare.

Il personale è politico: questa premessa, questa affascinante convinzione, che oggi può sembrare semplicemente incredibile, era stata portata alle estreme conseguenze da molti di quella generazione. E dopo l’intensa stagione di impegno politico e sociale segnata da grandi ideali ma anche da grandi disillusioni, qualcuno sentì il bisogno di allontanarsi dalle dinamiche urbane e politiche più accese. Un luogo isolato a contatto con la natura divenne per alcuni una risposta a questa perdita di senso e un modo per cercare un nuovo significato della propria vita, per affrontare quel fenomeno che con una parola ambigua venne chiamato riflusso.

In alcuni casi, si formarono anche piccole comunità che condividevano questa ricerca di solitudine all’ombra del vulcano che, con la sua attività continua, poteva essere interpretato come un simbolo di energia vitale, di forza primordiale, di trasformazione. Vennero sistemate delle case abbandonate ed alcuni cominciarono a coltivare degli orti rubati all’asprezza della terra lavica.

Le stradine di Ginostra, all’epoca ancora senza la luce elettrica, la sera si trasformavano in un andirivieni di piccole torce, quasi una danza di lucciole. Ci si incontrava in quel piccolo chiarore e spesso si finiva ad ammirare in qualche terrazza ospitale, quasi ipnotizzati, la sciara di fuoco che scendeva a mare rossa nella notte. Qualche volta il lusso di andare a mangiare ai due tavoli sotto l’incannucciata una pasta cucinata da Lo Schiavo, il capo di una delle due famiglie strombolane che abitavano fisse sull’isola. Questo tipo di poche parole faceva anche il rollista, cioè traghettava con la barca a remi i viaggiatori dalla nave al minuscolo porticciolo dell’isola e viceversa. Nel porticciolo poteva stare in acqua una sola barca per volta, quella del rollista, e tutte le altre appena rientrate dovevano essere subito alate. La pasta era semplice e divina. Da quel che ricordo Lo Schiavo faceva stufare in padella un pugno di olive tritate, qualche cappero saporito dell’isola, poi scolava la pasta al dente la faceva saltare in padella con olio ed un pò di pangrattato tostato. Subito infilava la padella di metallo nel forno a legna. Qualche minuto dopo col brontolio del vulcano ti serviva un piatto croccante e profumato che ti raccontava l’isola meglio di una poesia. Ricordo che in un momento di scempiaggine gli chiesi la ricetta. Mi scrutò serio e disse: è inutile, questa te la puoi mangiare solo qui!

Un giorno una barca da pesca entrò nel porticciolo e scaricò un pesce spada d’argento appena pescato. Il bel pesce venne messo su di un asino per farlo arrivare su a Ginostra. Il giovane tedesco con l’asino che faceva la spola tra il porticciolo e il paese, saliva e scendeva tutto il giorno per lo stradino stretto spronando la sua bestia carica delle cose sbarcate dalla nave e che erano vitali per chi viveva sull’isola. Caminaaaa! Incitava, e mentre il sudore rigava la sua pelle cotta dal sole ti veniva da pensare che stesse espiando chissà quali colpe. Colpe di cui, sono sicuro, non si era mai macchiato.

Si sparse subito la voce di quel dono venuto del mare e quella sera moltissime lucciole volarono leggere per le stradine dell’isola fin sotto l’incannucciata per nutrirsi del pesce d’argento. Lo Schiavo e sua moglie, seri ed imperturbabili come sacerdoti, officiarono il rito della cottura in nere padelle su carboni di legna profumata, quasi una festa pagana. Quella sera anche Iddu, il vulcano, brontolò più forte.

Nelle Eolie per questa ricetta spesso usano al posto dei capperi i Cucunci. Questi sono i baccelli che si formano dopo la fioritura della pianta, più grandi e carnosi rispetto al cappero che è il bocciolo della pianta. Hanno un sapore più dolce e delicato. 

INGREDIENTI PER 4 PERSONE

  • 4 trance di pesce spada
  • 1 cipolla rossa di Tropea
  • 300 grammi di pomodori Pachino
  • 1 ventina di olive nere (attento, spesso colorano le verdi e le spacciano per nere)
  • 1 pugno di cucunci sotto sale. In mancanza i capperi sotto sale vanno benissimo.
  • Qb origano, sale e pepe
  • Qb olio EVO

PREPARAZIONE

  1. Prepara prima tutti gli ingredienti: togli il sale dai cucunci (o dai capperi) sotto l’acqua, affetta la cipolla, taglia a metà i pomodori e privali dei semi e dell’acqua di vegetazione.
  2. In un’ampia padella fai rosolare a fiamma dolce la cipolla e dopo metti giù anche i pomodori. Quando questi saranno un pochino appassiti toglili dalla padella e conservali al caldo.
  3. Nella stessa padella fai rosolare a fuoco deciso il pesce spada con pochissimo olio per circa un minuto per ciascun lato e quindi unisci i pomodori già preparati. Metti giù anche le olive che avrai denocciolato e i cucunci dissalati (o i capperi). Poni un coperchio sulla padella e fai cuocere dai 5 ai 7 minuti secondo lo spessore delle trance.
  4. Appena pronto servi subito il pesce spada con fette di pane abbrustolito per raccogliere il sugo.

Senti che mangi !